Letteratura

La pioggia nel pineto
Gabriele D'Annunzio
Gabriele d'AnnunzioNasce a Pescara nel 1863 e muore a Gardone Ri­vie­ra nel 1938. Fu non solo poeta ma anche soldato nella Prima guerra mon­diale e seguì con pas­sio­ne la politica. Annunziò lo Stato Libero di Fiume. Quando si stabilì a Roma, conobbe gli ambienti ele­ganti della città e visse una vita ricca e piena di scandali e di fatti che gli die­dero molta pubblicità come la sua relazione con la grande attrice Eleo­nora Duse.
Fu a favore della guerra e partecipò alla „Beffa di Buccari" (una località vicino a Fiu­me), partecipò al volo su Trieste e quando finì la guerra fu nazionalista e organizzò la marcia su Fiume.
Alcyone

Alcyone

Appartiene al decadentismo per il suo estetismo (amore della bel­lez­za), uno dei suoi aspetti principali che rap­pre­sen­ta il Par­nas­sia­ne­simo e che nasce dall'odio della realtà quoti­dia­na; in­fat­ti estetismo, sia nella vita che nell'arte, vuole dire ricerca di ele­gan­za e di raf­fi­natezza; senza pensieri di moralità, ma con l'este­tismo D'An­nun­zio cerca pure di innalzare la sua istintiva sen­sua­lità nell'amore, nel piacere, nel bello.
La pioggia nel pineto
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti silvani
piove su le nostre mani ignude
su i nostri vestimenti leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
La pioggia nel Pineto
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca,
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli,
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri,
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono; e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre,
che hai nome
Emione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’ umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda crosciare
l’ argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
 
 
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