Storia

Le oche del Campidoglio
Per i latinisti tra i lettori: Galli de Alpibus in Italiam de­scen­de­runt et totam regionem ferro ignique vastaverunt. Mortis terror hostium­que for­mido omnes urbium incolas repente invaserunt. Statim contra ingentes barbarorum copias consul cum duabus le­gionibus a romanis missus est sed Galli consulem eius­que le­giones petiverunt et acri proelio apud Alliam flumen vicerunt, postea Romam acces­serunt. Tum Romani, formidine capti, Urbem reliquerunt et cum seni­bus, mulieri­bus liberisque in silvas confugerunt. Barbari sine periculo ad Urbem pervenerunt et Capitolium, Romae arcem, obse­derunt. Iam Galli arcis moenia ascendebant, cum re­pente vigiles anseres [le oche] acribus clangoribus Marcum Man­lium, Capi­tolii custodem, e somno excitave­runt. Tum Man­lius Romanos milites vocavit, qui ingenti vi pugnaverunt et Gallos reppulerunt: itaque Capitolium a barbarorum insi­diis liberatum est et Roma anserum clangoribus servata est.
L'avvenimento leggendario che vide come pro­ta­go­niste le oche del Campi­doglio fa parte della storia della città di Roma. Secondo la leggenda sarebbe avvenuto sul colle del Campidoglio nel 390 a.C. (per alcuni, nel 387 a.C.).
I Galli di Brenno assediavano Roma e cercavano un modo per penetrare nel colle. Qui si erano rifu­gia­ti i romani che non erano riusciti a fuggire a Veio o a Caere all'arrivo degli assalitori.
Il condottiero romano Marco Fu­rio Camillo era in esilio ad Ardea a causa delle sue posizioni anti-plebee. Un messaggero mandato dai romani di Veio prima a Roma e poi ad Ardea per richiamare il ge­ne­ra­le, era riuscito ad entrare sul Campidoglio nonostante l'assedio. Avendolo seguito, i Galli stavano per riuscire, nottetempo, ad entrare nel Campidoglio. Un'altra fonte parla di un cunicolo sotterraneo scavato dagli assedianti.

La leggenda narra che i Romani, affamati, furono tentati di banchettare con le grasse oche del Cam­pi­do­glio, sacre a Giunone, ma la devozione religiosa fu più forte e scongiurò il sacrilego gesto. La fedeltà venne ripagata; infatti una notte il generale Marco Manlio e i romani assediati furono sve­glia­ti dallo starnazzare delle oche: i Galli stavano per attaccare la città, ma l'assalto fu sven­tato e la città salva. Marco Manlio venne per questo episodio denominato Capitolino.

In realtà l'attacco a sorpresa riuscì: Brenno scon­fisse i Romani sul fiume Allia, espu­gnan­do la città. Questa però tornò subito in mano romana, perchè la strategia di conquista gallica consisteva esclusivamente nel saccheggiare e de­vas­tare, ciò che gli strateghi moderni chiame­reb­be­ro „mordi e fuggi“.
Fu l'arrivo di Camillo a ribaltare le sorti della guerra a favore dei romani: i Galli cominciarono a subire le prime sconfitte mentre l'esercito del condottiero avanzava da Ardea. Gli assedianti cercarono quindi un compromesso: a fronte di un tributo pari a mille libbre d'oro, questi avrebbero tolto l'assedio. I romani, al momento di pagare, si accorsero che le bilance erano truccate e, alle loro rimostranze, Brenno, in gesto di sfida, aggiunse la sua spada alla bilancia pretendendo un maggiore peso d'oro e pronunciò la frase „Vae victis!" („Guai ai vinti!“).
„Vae victis"
Qui la tradizione narra un secondo episodio leg­gen­dario: mentre i romani chiedevano tempo per pro­curarsi l'oro che mancava, Camillo raggiunse Ro­ma con il suo esercito. Una volta di fronte a Brenno, gli mostrò la sua spada e gli urlò in faccia: „Non auro, sed ferro, recuperanda est patria" („Non con l'oro, ma con il ferro, si riscatta la patria“). Secondo questa leggenda Camillo avrebbe sconfitto e cacciato i Galli. Motivo per cui avrebbe ricevuto il titolo onorifico "Pater Patriae" (Padre della Patria).
Più probabile, invece, è che i galli, che non erano abituati alla calda estate del clima meridionale ed erano indeboliti da malattie (come la malaria), fossero già in ritirata dal paese.