Sapere

La decapitata di Castelgandolfo
Il 10 luglio 1955 il meccanico Antonio Solazzi e il sacrestano Luigi Bar­boni che erano in gita sul Lago di Castelgandolfo (Lago Albano) trovarono sulla riva un cadavere femminile decapitato, nudo salvo un orologio al polso marca Zeus, e in stato di avanzata decomposizione. La parte superiore del corpo era coperta da un giornale, una copia de Il Messaggero datata 5 luglio 1955. I periti stabilirono inizialmente un'età tra i 18 e i 26 anni e una statura di circa un metro e sessanta. I due, inizialmente spaventati dal ritrovamento, avvisarono le forze dell'ordine solo il 12 luglio.
Cominciò così uno dei più misteriosi casi di cronaca nera della storia italiana del dopoguerra, la storia della decapitata di Castelgandolfo.
A chi appartieneva quel cadavere di donna, di età in seguito stabilita tra i ven­ticinque e i trent'anni? I carabinieri accertarono che la donna era stata ac­col­tellata più volte all'ad­do­me e alla schiena e in­fi­ne decapitata. L'autopsia inoltre rilevò un aborto recente. Chi aveva amputato quel corpo della tes­ta che non verrà mai ritrovata? L'avanzato stato di de­com­po­si­zio­ne aveva reso pressoché impossibile l'identificazione, anche per la difficoltà di rilevare le im­pron­te digitali del cadavere.
Per settimane la stampa si pose queste domande. Ma l'unica certezza a cui si ar­ri­vò fu che quell'o­mi­cidio era avvenuto proprio nel punto esatto il cui quel ca­da­ve­re fu trovato. Lo testimoniava il san­gue, uscito copioso dopo la de­ca­pi­tazione.
L'indagine fu fin dall'inizio molto difficile. Si comin­ciò con gli elenchi di donne di cui era stata denun­cia­ta la scomparsa. Ma l'elemento fon­da­men­ta­le che per­mise l'identificazione della donna fu l'oro­lo­gio trovato al suo polso. Si trat­ta­va infatti di un mo­dello molto particolare, di marca Zeus, prodotto in soli 150 esemplari. Una ricerca svolta presso gli orafi di Roma e dintorni e il con­fron­to con le de­nun­ce di scomparsa presentate nelle settimane pre­ce­den­ti il ritrovamento consentirono di iden­ti­fi­ca­re il cadavere come ap­par­te­nen­te alla tren­ten­ne Antonietta Longo, una domestica siciliana di cui era stata de­nun­ciata la scomparsa alla fine di giugno dalla fa­miglia del medico Gasparri che ne aveva de­nun­cia­to la scomparsa. La donna lavorava da una decina d'anni presso la famiglia.
Dalla vita della donna non emersero molti particolari utili alle indagini: una vita tranquilla, laboriosa, senza scossoni, una serie amiche, qualche amore senza importanza. I carabinieri tentarono di ri­costruire le vicende degli ultimi giorni di vita della donna.
Scoprirono così che aveva chiesto alla famiglia un mese di ferie per far visita a casa, in Sicilia; che il 14 marzo aveva pre­levato dal suo conto tutti i suoi risparmi (331.000 lire,
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per quell'epoca una somma ingente ); che il 4 aprile aveva depositato alla stazione Termini una valigia; che era uscita di casa il mattino del primo di luglio, con un biglietto ferroviario per il suo paese di origine. Invece di recarsi alla stazione aveva trascorso invece alcune notti in una pensione. Il 5 luglio – la data dei fogli di giornale che coprivano il ca­da­ve­re – aveva imbucato una lettera in­di­rizzata alla famiglia, in cui annun­cia­va le sue nozze imminenti: "Tra poche ore sarò sua. Spero di sposarlo e di darvi la gioia di un nipotino." Poi più nulla. Il buio più totale. Dei soldi nessuna traccia.
Il caso fu presto archiviato senza processo e non si riuscì a stabilire mai né il movente né l'assassino. Il caso di Antonietta Longo, la decapitata di Castelgandolo, è ancora oggi un omicidio irrisolto.
Nel 1987 un pescatore trovò un teschio umano nel lago. 32 anni dopo il delitto si pensò che potesse essere finalmente quello di Antonietta Longo, ma così non fu: il teschio sembrava appartenere a un uomo.
 
 
Italia giallo e nera

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