Sapere

Il Pampano
 
Parole magiche
La parola „pampano“ l'ho scoperta per caso leggendo un libro di Mau­rizio Maggiani. La parola „gretta“ l'ho trovata su internet. Sono parole che non avevo sentito da decenni, che mi hanno colto di sorpresa e fatto fare un salto temporale di de­cenni. Improvvisamente mi sono ritrovato a Sturla, il quartiere di Genova dove ho passato una gran parte della mia infanzia.

Chiisà se questo gioco si gioca ancora negli asili e nelle scuole elementari. I bambini formavano un grande cerchio tenendosi tutti per mano e si met­te­vano a girare in tondo sempre nello stesso verso. Cantavano la filas­troc­ca al finir della quale ci si doveva sedere velocemente per terra: “Giro, giro tondo casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra”. Perdeva chi era l’ultimo a sedersi.

Il pampano

Ricordate? Non c'era ancora la televisione. Nè c'erano i videogiochi e i mille „gadgets" eletronici che ci tenevano a casa. Si giocava sul „campetto" o sul marciapiede (mi chiedo: ma le macchine dove erano?). Qualche mamma diceva al figlio: „Stai lì sotto che ti possa vedere!“. Le bambine abbastanza spesso giocavano al pampano. Noi „maschietti" non ci giocavamo. Ma me lo ricordo be­nis­simo. Si disegnava uno schema numerato con i gessetti per terra, a turno i giocatori lanciavano un sassolino nei riquadri e si doveva arrivare nella pos­tazione della pietruzza saltando su un solo piede, senza mai toccare per terra con entrambi. Nelle ultime fasi del gioco si saltava a occhi chiusi cercando di non pestare le righe di gesso, gridando: „Pane!“. Se an­dava bene, la risposta degli altri era „Salame!“. Al grido „Prosciutto“, invece, si sapeva di aver cal­pes­tato una riga e via, si doveva ricominciare tutto da capo.

I giochi di una volta
Le belle statuine
Era un gioco praticato principalmente dalle bambine. Una bambina scelta tramite una conta iniziava a contare fino ad un numero stabilito con la faccia rivolta verso il muro. Le altre bambine durante il tempo di conta dovevano stare ferme in una posizione particolare. Alla fine della conta la bambina si girava e doveva scegliere tra tutte la più bella.
Liberi tutti
Si, eravamo proprio piccoli. I „maschietti" giocavano spesso ancora insieme alle „femminucce“, come chiamavamo le bambine. Si giocava a „rincorrersi“, a „nas­con­dersi“, o a „mosca cieca„. Al pallone, più tardi, giocavano solo i „maschietti“. Anche se mi ricordo che mia sorella lo giocava meglio di me. Ma deve essere stata un'eccezione.

Come goicavamo Come goicavamo Come goicavamo
Come giocavamo.
Una rassegna di giochi di strada di una volta
Giochi e giocat­toli di una volta C'era una volta un Regno. Il gioco dell'oca alla corte dei Borbone

Biglie e grette
Qualunque posto era ideale per il gioco delle biglie. Conoscevamo numerose varianti ma più comunemente si praticava una piccola buca in cui ognuno doveva mandare con un colpo del pollice e dell'indice (la bicellata) la propria biglia di ve­tro, oppure si giocava a chi le mandava più vicino al muretto.
Bicellata è un genovesismo che fa riferimento al colpo effettuato con „l'indice o il medio in opposizione al pollice o con il pollice in opposizione all'indice o al medio“. La „bicellata“ diventa schicchera a Roma (e altrove), schicca nelle Marche, santillo in Campania, buffetto o nocchino in Toscana, cricco, puffetto o cicchetto in Emilia-Romagna e così via.
E se non c'erano biglie a disposizione usavamo le grette. Sapete cosa sono? Sono i tappi di metallo con il bordo dentellato, per esempio quelli delle botti­glie di gazzosa o di birra.

La cerbottana
Ce la costruivamo da soli, con canne di alluminio dei lampadari, tubi di plastica, ecc. Si sparavano palline di carta, bacche o sassolini, ma soprattutto freccette costruite con carta arrotolata a cono e tenuta unita con la saliva. Si facevano gare che vinceva chi lanciava più lontano. Oppure si mettevano si „combattevano" piccole battaglie tra squadre di bambini
La lippa
Mi ricordo che lo giocavano i „grandi“. Forse perchè noi „piccoli" non eravamo in grado di procurarci il materiale o perchè era troppo difficile. Occorreva un particolare segmento di legno affusolato agli estremi che veniva posto in bi­li­co su di un sasso. Si doveva colpirlo lievemente con un bastone apposito, in maniera da sollevarlo in aria per poi colpirlo al volo con forza, in modo da mandarlo il più lontano possibile.
Noi maschi giocavamo spesso ai cow-boys e indiani, e se qualche bambina lo giocava con noi, veniva chiamata „maschiaccio“. Come cambiano i tempi, og­gi ci sono già le campionesse die pugilato e la gente si diverte a vederle sanguinare dal naso. Lo chiamano „progresso"!
Calcio Balilla
Oramai eravamo ragazzi. Ai ba­gni e nei bar si giocava spesso col calcetto da tavolo, che veniva chiamato „calcio Balilla„. Ci ho messo un po' (da adulto) a ren­dermi conto dell'eti­mologia „fa­scista" del nome di questo gioco. All'epoca della sua in­ven­zione infatti, durante il regime, l'addes­tra­mento parascolastico dei giovani av­veniva nell'istituzione Opera Nazionale Balilla e i bambini fascisti dai 6 ai 12 anni erano tutti obbli­ga­toriamente „balilla„. In altri tempi lo avrebbero semplicemente chiamato „calcio per ragazzi„. Da notare che „balilla“ a quei tempi era anche una radiolina e un'utilitaria.
Il gioco dell'oca
Il gioco dell'oca è un gioco da tavolo tradizionale per bambini. Si tratta di un gioco di percorso estremamente semplice, in cui il vincitore è determinato solo dalla sorte. Si gioca su un tabellone con un percorso a spirale composto da 63 caselle (a volte 90) contrassegnate con numeri o altri simboli.
Si procede lungo il percorso di un numero di caselle corrisondente alnumero ottenuto con il lancio di una coppia di dadi. La casella d'arrivo (la 63) deve essere raggiunta con un lancio di dadi esatto; altrimenti, giunti in fondo, si retrocede dei punti in eccesso.
 
 
Il piccolo manuale dei giochi di una volta
Il piccolo manuale dei giochi di una volta