La Divina Commedia |
La Divina Commedia è il
capolavoro del poeta fiorentino Dante Alighieri, considerato
la più importante testimonianza letteraria della civiltà
medievale e una delle più grandi opere della letteratura
universale. |
La Divina Commedia è divisa
in tre parti chiamate cantiche: Inferno, Purgatorio,
Paradiso; il poeta immagina di compiervi un viaggio ultraterreno. |
Il poema, pur continuando i modi caratteristici della letteratura
e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale,
linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata
delle cose), tende a una rappresentazione ampia e drammatica
della realtà, ben lontana dalla spiritualità
tipica del Medioevo, tesa a cristallizzare la visione del
reale. |
Inferno (1. Canto) |
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita. |
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura! |
Tant'è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. |
Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai. |
Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto, |
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Miniatura di Priamo della Quercia: Attraversando l'Acheronte |
guardai in alto, e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle. |
Allor fu la paura un poco queta
che nel lago del cor m'era durata
la notte ch'i' passai con tanta pieta. |
E come quei che con lena affannata
uscito fuor del pelago a la riva
si volge a l'acqua perigliosa e guata, |
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva. |
Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che 'l piè fermo sempre era 'l più
basso. |
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta; |
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto. |
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Miniatura di Priamo della Quercia: Dante e i Simoniaci |
Temp'era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino |
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle |
l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone. |
Questi parea che contra me venisse
con la test'alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l'aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame |
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sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza |
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.
E qual è quei che volontieri acquista, |
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutt'i suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace, |
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove 'l sol tace.
Mentre ch'i' rovinava in basso loco, |
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto, |
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Miniatura di Priamo della Quercia: Filippo Argenti |
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui, |
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patria ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, |
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto |
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
poi che 'l superbo Ilión fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia? |
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La Divina Commedia
di Dante Alighieri |
La Divina Commedia
Illustrazioni die Gustave Doré |
Roberto Benigni:
Tutto Dante #02
Canto IV-V-VI Inferno |
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perché non sali il dilettoso monte
ch'è principio e cagion di tutta gioia?».
«Or se' tu quel Virgilio e quella fonte |
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos'io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume |
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore; |
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu' io mi volsi: |
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro viaggio», |
rispuose poi che lagrimar mi vide,
«se vuo' campar d'esto loco selvaggio:
ché questa bestia, per la qual tu gride, |
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
e ha natura sì malvagia e ria, |
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Dipinto di William Bouguereau: Gianni Schicchi |
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s'ammoglia, |
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro, |
ma sapienza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute |
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa, |
fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
là onde 'nvidia prima dipartilla.
Ond'io per lo tuo me' penso e discerno |
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno,
ove udirai le disperate strida, |
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vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch'a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti |
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire, |
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là sù regna, |
perch'i' fu' ribellante a la sua legge,
non vuol che 'n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge; |
quivi è la sua città e l'alto seggio:
oh felice colui cu' ivi elegge!».
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio |
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch'io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov'or dicesti, |
sì ch'io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
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