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Paolo e Francesca sono due famosissime figure storiche di amanti entrate a far parte dell'immaginario popolare sentimentale, pur appartenendo alla storia e alla letteratura. |
Francesca, della nobile
famiglia dei Da Polenta di Ravenna è la sposa
di Gianciotto Malatesta, il figlio zoppo („ciotto“) di Malatesta
da Verrucchio, signore di Rimini. Era stato un matrimonio
stipulato esclusivamente per ragioni politiche:
infatti esso sanciva e garantiva la pace fra le due
famiglie e le due città dopo un lungo periodo
di scontri. Francesca si innamora del fratello del marito, Paolo. Che i due si innamorarono è storicamente
accertato. Certo è anche che furono sorpresi e trucidati
da Gianciotto dopo il 1282-1283, il periodo in cui Paolo fu capitano del popolo a Firenze, e più probabilmente
nel 1285, anno in cui Gianciotto fu podestà a Pesaro. |
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La storia di Paolo
e Francesca, raccontata nella Divina Commedia (Inferno, Canto
V.) è una storia vera, che Dante conosce bene perché
i due giovani amanti muoiono quando il poeta è poco più
che ventenne: sono quindi quasi contemporanei. |
Paolo e Francesca si trovano nel cerchio dei lussuriosi,
di persone, cioè, che hanno preferito lamore
terreno e passionale allamore divino. Dante ne racconta
la triste storia dei due amanti, condannati per leternità
a essere trasportati da una violenta bufera, simbolo della
passione che li ha travolti in vita. |
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Inferno (Canto V.) |
I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri». |
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno». |
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!». |
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere dal voler portate; |
cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettuoso grido. |
«O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, |
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso. |
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace. |
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui. |
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. |
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona. (*) |
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte. |
Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». |
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Francesca da Rimini [DVD]
di Riccardo Zamdonai
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La Divina Commedia
Illustrazioni die Gustave Doré |
Francesca da Rimini
di Gabriele D'Annunzio |
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Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!». |
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. |
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?». |
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. |
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice. |
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. |
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. |
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Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, |
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante». |
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse. |
E caddi come corpo morto cade. |
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(*) Questi versi sono
tra i più belli e i più conosciuti versi d'amore
della letterattura italiana. La reciprocità dell'amore
è uno dei temi fondamentali dell'amor cortese. |
Scrive U. Bosco: „Il punto di arrivo, per così
dire, del poeta era questo: non solo il „vizio di lussuria"
di Semiramide e di Cleopatra, ma anche l'amore di Didone,
cui nel suo poema Virgilio aveva tanto indulto, anche quello
esaltato dai romanzi cavallereschi, e persino l'amore stilnovistico,
di cui Paolo e Francesca, come questa dirà, si erano
nutriti, possono condurre a perdizione terrena ed ultraterrena.
... Che cosa può far sì che un'attrazione innocente
si tramuti in peccato? ... Dante in cospetto della fragilità
non solo di Paolo e Francesca, ma della fragilità sua
propria e di tutti china pensoso la testa. Un momento improvviso
e inopinato, e il „talento“, il desiderio di dolcezza
e di felicità, ha il sopravvento e ci perde. Da qui
la pietà: per Francesca, per se stesso, per tutti.„. |
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La storia di Paolo e Francesca ispirò numerosi scrittori e compositori. A Gabriele d'Annunzio ispirò il dramma „Francesca da Rimini„. Il compositore Riccardo Zandonai ne creò un'opera lirica, tratta proprio dal dramma di D'Annunzio e rappresentata nel 1913. Sergej Rachmaninov compose anche un'opera lirica dallo stesso nome e Pyotr Ilyich Tchaikovsky la sua fantasia sinfonica, op. 32. |
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